ANALISI: Matrix Resurrections, il metacinema che dovremmo ricordare.
ANALISICINEMA
Diego
11/17/20254 min read
Ci siamo passati tutti. Quel momento in cui ti rendi conto che una cosa che ti ha reso felice, famoso, riconosciuto... ti sta anche imprigionando.
Pensa a una band che suona da trent’anni e ogni volta il pubblico vuole solo quella canzone lì. A un attore che ha interpretato un ruolo iconico e da allora, per tutti, è soltanto quel personaggio. O pensa a te, quando cerchi di cambiare strada, ma il mondo ti chiede di restare esattamente com’eri.
È frustrante, no?
E allora perché, quando un artista fa una scelta radicale, quando un cantante, un regista, o persino un calciatore rompe lo schema, restiamo così spiazzati?
“Ma come?”, ci chiediamo. “Hai tutto! Fama, successo, milioni di fan... perché mollare?”
La verità è che spesso guardiamo queste decisioni dal punto di vista sbagliato. Non ci mettiamo nei panni di chi sta sul palco, ma in quelli di chi lo guarda dal divano di casa.
Poi, anni dopo, arriva Matrix Resurrections. Arriva Lana Wachowski… e puff! Tutto diventa chiaro.
Perché quando un’artista non ne può più di vivere in loop dentro la stessa storia, l’unica cosa da fare è: mandare tutto all’aria. Elegantemente. O con un sequel.
Ma perché partire da qui? Perché per comprendere fino in fondo la scelta di Lana Wachowski, bisogna entrare nella testa dell’artista. Nella sua relazione con la propria opera. Nella paura di restarne prigionieri.
Ora, a distanza di anni, grazie a Matrix Resurrections e a Lana Wachowski, capisco davvero quelle scelte.
METACINEMA DA RICORDARE
Quello che molti non hanno colto è che Matrix Resurrections non è solo un sequel. È una riflessione. È Lana Wachowski che parla di sé, attraverso Neo.
Neo è l’artista. L’uomo che ha creato qualcosa che ha cambiato il mondo. Ma che ora si ritrova prigioniero proprio di quel successo. Di un’industria che vuole rivivere sempre lo stesso film, replicare la stessa magia.
Perchè parliamo di due artiste, due registe, che hanno scritto e diretto tantissimi film (pensiamo a Cloud Atlas o all'idea per la serie Sense8), ma che nell'immaginario collettivo sono "quelle di Matrix".
E se sappiamo bene che la trilogia delle sorelle è stata una grande metafora per parlare di transizione, di persone che si ritrovano in corpi che non sentono loro e in una realtà fittizia, alla ricerca della loro vera consapevolezza (e non a caso qualche anno dopo passeranno da essere fratelli a sorelle), con questo 4° capitolo, non meno autobiografico, ci raccontano il dopo. La vita dopo il successo, dopo la trasformazione.
LA CONDIZIONE DELL'ARTISTA
“Mi hanno informato che lo faranno con o senza di noi.”
Questa citazione mi ha riportato alla mente Francis Ford Coppola e la terza parte del Il Padrino: saga che doveva chiudersi con 2 film, e invece portata avanti, anni dopo, sotto richiesta specifica della Paramount.
E la casa produttrice era stata chiara, così come lo è la Warner Bros in questo film: si farà, con o senza di te, con o senza le sorelle Wachowski.
E allora Lana cosa fa? Decide di esserci. Ma a modo suo.
E che la storia, secondo l'artista che l'ha ideata, è finita, poco interessa: bisogna fatturare, bisogna riportare il pubblico, che tanto ti acclama, ancora dalla tua parte.
La prima parte del film è una vera parodia del franchise: si parla del bullet time, delle discussioni filosofiche, dell’eredità culturale
Lana lancia un messaggio limpido: l’artista va rispettato, soprattutto quando sceglie di evolversi, di non replicarsi, di uscire dai binari del già visto. Va rispettato in ogni sua forma espressiva – che sia un film, un quadro, un videogioco – senza costringerlo a vivere per sempre all’ombra del suo successo più riconosciuto.
È un’analisi lucida sull’industria del cinema, sulle logiche delle case di produzione e sulle aspettative del pubblico.
Su quella frenesia ossessiva di generare sequel, spinoff, di tenere in vita storie che forse andrebbero lasciate andare (e non a caso, è già in cantiere Matrix 5).
E su ciò che il pubblico desidera: rivivere la magia della prima volta, le emozioni date da Neo e compagni, senza rendersi conto – come ci ricorda Lana – che è un’illusione. Perché l’originalità, una volta persa, non si può ricreare. E ciò che manca, inevitabilmente, è la genuinità.
UN FILM PATETICO
“La storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.”
Se la trilogia è stata poetica, questo 4° capitolo è patetico, volutamente patetico.
Come vedete la trama sta tutta lì, nella sua banalità e nel suo lieto fine, andando a riprendere qualcosa della trilogia e facendo una specie di tributo sopratutto al film del 1999.
La trama è semplice, a tratti banale. Gli effetti speciali non sorprendono. I personaggi stessi sembrano consapevoli di non essere più gli stessi, di essere invecchiati. Neo, in una scena chiave, dice: "non so più volare".
I personaggi nuovi sono all'ordine della banalità del giorno, le nuove cose che cambiano nel Matrix (come le nuove uscite), sono soltanto la dimostrazione che di una storia, di una qualsiasi storia, si possano fare centinaia di versioni, ma che questo non significa che sarà migliore o ci ridarà le stesse emozioni della prima volta.
Tutto il film è una gigantesca autocritica. Morpheus è solo un programma. Smith è un’ombra del passato.
Lana scrive per loro una caricatura, una parodia dei personaggi: la forza del film sta nel prendersi in giro, nello smontare le aspettative del pubblico.
Matrix Resurrections è consapevolmente imperfetto. Lana non voleva rifare Matrix. Voleva raccontare cosa significa non poter più essere se stessi perché il mondo vuole sempre la versione vecchia di te.
IL MESSAGGIO OLTRE IL FILM
E se quindi bisogna analizzare questo film, bisogna saper considerare tutto questo.
Lana Wachowski, in primis, ci sta dicendo chiaramente di non ricordarci questo film, o di farlo ma in modo diverso dalla trilogia.
Ma ci ha mandato un messaggio e, personalmente, mi è pienamente arrivato: è chiara la critica ai sequel, al bisogno del cinema moderno dei reboot o da un pubblico velenoso che non accetta le novità.
E se il film non è tecnicamente perfetto, non è eccitante e probabilmente è anche troppo lungo, passa tutto in secondo piano dietro ad un'analisi metacinematografica che supera tutti di difetti di questo 4° capitolo.
A parer mio hai vinto, e lo hai fatto anche solo nel momento in cui hai capito che non serviva fare un altro film, che in ogni caso avrebbe deluso, e che allora era meglio utilizzare questo spazio per mandare un messaggio necessario.
Alla fine, non importa se questo film ti è piaciuto o meno. Se gli dai 2 stelle o 5. Quello che conta è il messaggio.
Lana Wachowski ha usato il film per dirci qualcosa: che non sempre bisogna continuare una storia, che non tutto ha bisogno di un sequel, e che l’arte, prima di tutto, è espressione personale.
Matrix Resurrections è un film sbagliato? Forse. Ma è sbagliato con intenzione. Ed è proprio per questo che funziona.
Perché riesce a farci riflettere. Perché, magari, ci spinge a pensare anche solo per cinque minuti a cosa chiediamo al cinema. E agli artisti.
E per questo, Lana, io ti dico: capolavoro.
